La reputazione web vista dai professionisti
Molti parlano di reputazione web. Ma che cosa dicono coloro che lavorano nel campo?
img internet è un'azienda milanese che offre servizi di web marketing, tra cui la misurazione e l'analisi della reputazione web. Per documentare con testimonianze dirette l’articolo dedicato alla reputazione web ho chiesto a Roberto Fortunato e a Giovanni Sacheli di condividere la loro esperienza per capire meglio la situazione reale, soprattutto per ciò che riguarda il mondo aziendale.
La misurazione della reputazione web
Esiste un modo di misurare la reputazione web?
GS Be’, credo che innanzi tutto sia necessario chiarire quando è necessario fare l’analisi della reputazione web, prima di sapere come. Ci sono due momenti nei quali le aziende si interessano alla web reputation:
- quando si corre ai ripari (e in genere è ormai troppo tardi), cioè quando si è in una situazione di disaster recovery e si tiene d’occhio la reputazione web per sapere che la crisi è stata risolta
- quando vengono messe in atto campagne pubblicitarie particolari, vuoi per cambiare l’idea del marchio, vuoi per promuovere nuovi concetti del brand o per modernizzare il feeling che il marchio trasmette ai propri utenti; in questo caso l’analisi della web reputation fa da verifica alla riuscita di una campagna pubblicitaria.
Come si misura la web reputation? In Rete ci sono infiniti strumenti per tenere monitorata la reputazione web. Ci sono strumenti specifici per ogni singolo canale (siti, blog, social network, forum eccetera) e anche strumenti più generici.
Per esempio, Google mette a disposizione strumenti di analisi e di attenzione (come Google Alert), in cui basta inserire una parola chiave da tenere monitorata: ogni volta che questa parola viene rilevata da Google, Google manda un’email all’utente che si è registrato e gli comunica ciò che ha scoperto. In questo modo si possono tenere monitorate tutte le discussioni online.
Google Alert funziona principalmente su siti, blog e forum, ma ci sono strumenti analoghi che funzionano su Twitter o su Facebook. Gli strumenti possono essere gratuiti (vedi il box “Gli strumenti gratuiti per monitorare la reputazione web) o a pagamento. Quelli a pagamento sono cross-platform, cioè da soli gestiscono più canali e hanno qualche funzione avanzata in più, ma nulla che non si possa fare a mano. Il risparmio tra uno strumento e un altro può essere la quantità di tempo umano che richiedono.
I servizi che vengono offerti per la web reputation sono essenzialmente due, che si differenziano per costi e per i tempi di lavoro.
Nel primo caso, un’azienda con un budget limitato o che non comprende esattamente ciò che comporta l’analisi della reputazione online, richiede solo una fotografia istantanea della situazione. Viene perciò fatta un'unica ricerca estemporanea, che va a ritroso nel tempo di 25-30 giorni; l’analisi è fine a sé stessa, nel senso che, una volta terminata, la si consegna al cliente così com'è, proprio come se fosse una foto scattata al momento. Non si sa da dove si arriva e non si sa dove si andrà.
Nel secondo caso, che riguarda aziende più consolidate e di dimensioni maggiori (le multinazionali soprattutto), con budget elevati, la richiesta è di una gestione continuativa. Non più una fotografia, ma un film, una serie di fotogrammi con cui, mese per mese, viene monitorata la situazione. Questa esigenza nasce dal fatto che una multinazionale ha sempre campagne pubblicitarie attive, ha sempre promozioni attive, fa sempre campagne di marketing e ha quindi la necessità di verificare le conseguenze di ogni azione di marketing. Un’analisi continua è ovviamente più dispendiosa, più lenta e più impegnativa, ma ottiene risultati migliori e permette di valutare i risultati di ogni campagna di marketing.
Le trappole della reputazione web
Quali sono le trappole da evitare per ciò che riguarda la gestione della reputazione web delle aziende?
GS La più grande è senz’altro prendere sottogamba la nascita di polemiche, di risposte negative e di critiche da parte del pubblico. Anche il commento della singola persona dovrebbe essere preso in considerazione, perché con la cassa di risonanza costituita dai social media anche un singolo commento può scatenare una serie di reazione a catena e un terrificante effetto domino. Se una persona si lamenta su una questione e non le viene data attenzione o le viene risposto nel modo sbagliato, il livello del ritorno negativo può essere crescere in modo esponenziale.
Bisogna perciò essere attenti a rispondere sempre, a rispondere educatamente, a rispondere a livello dell’utente e a rispondere in modo condiviso con tutto il management. È assolutamente da evitare l’atteggiamento che porta alla considerazione (che spesso si sente nelle riunioni aziendali) “questa settimana ci sono stati due commenti negativi, ma non vale la pena di rispondere”.
RF Nell’esempio di un caso che abbiamo seguito noi, un blog postava un articolo che parlava molto male di un’azienda. Quando in un motore di ricerca si digitava il nome di quest’azienda, come primo risultato appariva questo blog, perché era stato ripreso da un concentratore di blog che aveva aumentato ancora di più il traffico. Ciò faceva sì che il blog con il commento negativo venisse considerato dal motore di ricerca una referenza molto importante, anche perché al primo commento se ne accodavano molti altri e perciò il blog risultava molto aggiornato. Uno degli errori che erano stati commessi era continuare ad alimentare questi commenti, cercando di risolvere la questione in maniera trasparente. Però succedeva che rispondendo a questi commenti si aumentava ancora di più la rilevanza di questo post e quindi il blog continuava a salire ai primi posti.
Lì bisognava adottare una strategia diversa: bisognava colmare il buco di referenze attorno a quel marchio, in modo che la referenza negativa scendesse di peso.
In sostanza, bisognava fornire pareri favorevoli.
RF Sì, ma non direttamente su quel blog. Bisognava cercare invece di pubblicare iniziative editoriali di contenuto o di commento diverse, che parlassero bene del marchio, in modo che acquisissero una maggiore importanza nel risultato dei motori di ricerca e che quindi il post negativo non comparisse come primo risultato.
GS In quell’esempio in particolare il nostro intervento purtroppo non è stato di prevenzione, ma di cura: il danno era già stato fatto. Se noi troviamo un blog che parla negativamente di un brand di cui curiamo l’immagine e che viene riportato nei primi risultati dai motori di ricerca, la notra strategia principale è circondare questo blog con altre entità, altri blog, altri siti, possibilmente di proprietà del brand, che invece parlino in modo opposto. Per esempio, si creano tanti siti satellite, meglio se trattano temi affini al brand del marchio: magari uno tratta servizi, un altro entra nello specifico di un prodotto, un altro ancora tratta proprio il tema discusso nel blog per chiarire al pubblico le possibili malinterpretazioni o fornire le soluzioni. Generando nuovi contenuti legati al brand, questi andranno in automatico nella prima pagina di Google, perché sono molto correlati a quello che è il sito originale. Arrivando nuove pagine all’interno dei risultati del motore di ricerca, il blog con il post negativo potrà solo che scendere, se i nuovi siti sono ben alimentati.
Il cliente ha sempre ragione. Anche sul web
Potete farci un paio di esempi in cui una cattiva gestione di questa attività ha causato seri problemi di marketing?
GS Prendiamo due casi del 2011, che sono anche comparabili perché sono due aziende che lavorano nello stesso settore: Patrizia Pepe e Loft. Sono due aziende di abbigliamento con un grande seguito sui social media e hanno avuto entrambe problemi di web reputation. Hanno però gestito la situazione in maniera totalmente differente, ottenendo risultati estremamente diversi: in un caso si è trattato di una cattiva gestione e nell’altro di un’ottima gestione.
Nel caso di Patrizia Pepe, nel 2011 la redazione di Patrizia Pepe ha pubblicato sulla pagina Facebook foto di modelle che, come di consueto, indossavano i loro capi. Secondo gli utenti queste modelle erano troppo magre ed era perciò nata una polemica sul fatto che Patrizia Pepe incentivasse comportamenti al limite dell’anoressia o che comunque promuovesse tendenze o mode troppo limitanti per il fisico delle modelle. Questa discussione ha avuto molta risonanza, perché poi molti ne hanno discusso sulla pagina di Patrizia Pepe; purtroppo la risposta dell’azienda è stata abbastanza maleducata, spesso scortese, con tono autoritario: non s’è voluta abbassare a entrare nel dialogo faccia a faccia con gli utenti ma ha voluto commentare dall’alto quelle che secondo l’azienda erano prese di posizione sbagliate.
Invece di placare la polemica, risposte di questo tipo in un caso del genere equivalgono a buttare benzina sul fuoco. L’utente ha qualcosa da dire e si sente con le spalle coperte, perché “siamo gli utenti, siamo un gruppo, siamo un mondo che giudichiamo te brand, azienda”: se tu brand o azienda ti permetti di ribattere a muso duro contro il pensiero del pubblico e non lo prendi in considerazione, ti trovi davvero ad affrontare una guerra di pareri. E infatti poi i commenti negativi si sono quadruplicati dopo la risposta del brand. La situazione è andata via via peggiorando, finché poi non è stata lasciata calmare da sola, perché l’azienda non era più in grado di gestire né i commenti né le risposte. Hanno avuto la bacheca invasa da lamentele, polemiche e critiche. Chi per la prima volta visitava la pagina di Facebook di Patrizia Pepe e trovava una tal situazione non poteva fare a meno di pensare:“Oh, mio Dio! Qui stan facendo una guerra! Chissà cos’ha combinato il brand! Chissà cos’ha fatto l’azienda!”. Con la visibilità che hanno questi marchi è un brutto ritorno.
D’altro lato, per esempio, a Loft è successa la stessa cosa: pubblicando le foto del loro campionario hanno subito anche loro polemiche di questo tipo da parte degli utenti: “State mettendo modelle troppo magre”. L’anno scorso oltretutto questo tema era molto sentito, al punto che alcuni stilisti hanno fatto sfilare apposta modelle comuni o oversize.
In risposta a queste polemiche del pubblico, Loft ha pubblicato alcune foto di queste modelle scattate durante la vita privata, mostrando così che queste modelle stavano benissimo, che si divertivano e che erano felici del loro lavoro. Dopodiché hanno attivato un evento che doveva essere spot ma che, dato il successo, è stato reso continuativo. È la gestione di una sfilata fatta da persone comuni: in questo caso hanno preso dipendenti della loro azienda, gente che non è mai stata in copertina e che non ha mai fatto nessun genere di spot, e li faceva sfilare per realizzare normali servizi fotografici. Hanno pubblicato questa serie di foto, assecondando così la richiesta del pubblico: “Va bene. Quelle modelle sono troppo magre per voi? Vi facciamo vedere che cosa può fare la gente comune”. E hanno iniziato quest’attività che ora fanno regolarmente. Il motto dell’azienda è diventato “Voi chiedete, noi rispondiamo”; l’originale è in inglese, però il concetto è questo. Molti hanno già usato questo approccio e quelli di Loft non sono certo i primi; però ora la loro linea-guida è “OK, noi siamo sui social media per voi: diteci quello che volete da noi e noi vi ascolteremo”. Pur non essendo una strategia originale è sempre risultata la strategia vincente. Se ti arroghi il diritto di sentirti superiore o di cassare o di bocciare un commento che può avere motivazioni serie tra gli utenti, non sfrutti appieno ciò che i social media ti permetterebbero di sfruttare a livello di marketing. I social media sono un ottimo strumento perché ti mettono in contatto diretto con l’utente. Non c’è più un’email di un utente e tu rispondi solo a lui: c’è una domanda pubblica e una risposta pubblica.
È tutto molto più delicato e più difficile, ma ha anche ritorni decisamente superiori. In caso di commento positivo hai una risonanza e tutti gli utenti vedono il commento positivo; idem per quello negativo. Bisogna perciò stare estremamente attenti alla gestione dei social media e della web reputation. Evitare che commenti negativi o situazioni spiacevoli si possano diffondere ed è per questo che è molto importante, soprattutto per le grosse società, avere un team per tenere monitorato costantemente la reputazione online e rispondere in tempo e velocemente, dopo aver analizzato e condiviso le idee possibili per rispondere.
Questa è una cosa forse un po’ particolare ma molto importante: la condivisione delle idee per dare risposte centralizzate. Per esempio, sono successi casi in cui l’addetto ai social media si prendeva la responsabilità di rispondere senza chiedere al management né alla direzione, utilizzando un suo buon senso personale. Questo può rivelarsi sia positivo sia negativo, dipende dalla situazione e dipende dalla persona e dalle sue capacità di mediazione. Ma spesso può diventare controproducente perché, soprattutto per canali grossi, gestiti magari in più nazioni (c’è la pagina italiana, quella americana, quella francese e così via, piuttosto che una pagina internazionale gestita da più persone). Se ad un input non si risponde uniformemente si crea confusione, si crea dispersione di informazioni, si perde la chiarezza e l’identificabilità del marchio. È importante che in risposta ad un input negativo il management si riunisca e dia risposte condivise con con tutto il team e con tutti gli addetti ai lavori; le risposte devono essere coerenti, studiate, educate e soprattutto in linea con quello che è il social network: non è un canale di comunicazione classico e tradizionale, ma molto user friendly, diretto, informale. Non andrebbe mai preso sottogamba.
Proprio nei giorni scorsi, Enrico Ruggeri ha dichiarato su un social network (ripreso anche dalla stampa nazionale) che il suo ultimo disco sia in realtà un flop. I suo manager e la casa discografica non sembrano contenti di questa sua uscita... Anche se dal mio punto di vista, quello di Ruggeri è stato un bel gesto.
GS Posso condividere con te il fatto che come gesto umano quello di Ruggeri era un segno di sincerità, ma sappiamo benissimo che business e sincerità sono due galassie totalmente diverse. Ci credo che il suo manager e la sua casa discografica non siano stati contenti: è come se lui dicesse: “La mia casa discografica non ha fatto un buon lavoro di marketing e non ha distribuito bene le mie copie, le persone con cui ho lavorato non hanno fatto bene il loro dovere e probabilmente anche il mio album non è piaciuto come avrebbe dovuto”.
Sicuramente se avesse condiviso questo pensiero con la squadra di lavoro prima di renderlo pubblico, le cose sarebbero andate diversamente. Ma l’ha scritto su Twitter [in seguito sembra che la notizia sia stata corretta, e che la pubblicazione sia avvenuta su Facebook, NdA] e per scrivere su Twitter basta poco: magari lo si fa in metropolitana, sull’onda di un’idea che viene scritta senza pensare alla risonanza e alle conseguenze. Magari si tratta solo di un momento di disappunto, ma la Rete per personaggi di questo calibro fa da enorme cassa di risonanza. È normale che poi Ruggeri abbia subito le lamentele dei suoi collaboratori o del suo editore.
Di certo l’ammettere che un proprio lavoro non sta andando bene non incentiva l’utente a comperarlo. Inoltre nel caso specifico ci possono essere altri fattori: la pirateria citata da Ruggeri può essere uno di questi, ma occorre considerare anche che lui ormai non fa solo il cantante, ma è ben conosciuto anche come presentatore. Il pubblico non ha perciò l’idea di Enrico Ruggeri “il cantante” e ciò può confondere e può provocare la perdita di follower. Queste sono solo ipotesi che formulo al momento, ma resta il fatto che se lui avesse discusso il suo passo con la sua squadra, probabilmente questa gli avrebbe impedito di compierlo.
Quest’intervista è stata registrata nel febbraio del 2012 ed è stata pubblicata, divisa in tre parti e con interventi redazionali, nei numeri 313, 316 e 318 di Applicando. Ringrazio l’editore per avermi concesso il permesso di ripubblicarla sul mio sito personale. Tutti i diritti sono riservati ad Applicando - Il sole 24 ore
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