Figli: la recensione di un film che si sarebbe dovuto chiamare Amanti
Un film pieno di luoghi comuni che non sono originali ma sono veri. E che si fa gustare dopo che l'hai mandato giù
Come forse saprai (se mi hai seguito nell’edizione precedente del mio sito o attraverso la mai troppo rimpianta rivista Immaginazione in fotogrammi), per scrivere la recensione di un libro, di un film, di un brano musicale o di qualunque opera artistica, io mi pongo una domanda semplice: che sensazione mi è rimasta al termine della lettura, della visione o dell’ascolto?
Ecco, quando sono uscito dalla sala dopo aver visto Figli, la sensazione predominante era la gratitudine.
Prima di leggere il resto, puoi vedere il trailer del film cliccando sull’immagine sottostante.
Angoscia, ironia e un grano di pepe che sa di grottesco
Devo dire la verità: non è stato facile per me digerire Figli. Per molto tempo, durante la proiezione, non sono riuscito a capire che razza di film io stessi guardando. Il registro del film è infatti caratterizzato da un’oscillazione costante:
- è spesso angosciante, al punto da farti venire la voglia di uscire e prendere una boccata d’aria
- mentre non te lo aspetti, ti colpisce a tradimento il contrappunto ironico
- e quando stai cercando di capire che succede, spuntano ambientazioni e riferimenti grotteschi che scompaginano tutto.
Perciò, a un certo punto della proiezione, ho dovuto prendere una decisione: accetto che il film per cui ho pagato il biglietto scorra su un registro così ballerino e sconcertante?
Ho tirato un sospiro, ho rinunciato ad avere il controllo della situazione ed ho accettato di lasciarmi trasportare dal film. E da quel momento me la sono goduta.
Luoghi comuni o vita vera?
La trama è banale: una coppia, sposata e con una figlia, conduce una vita normale da piccola borghesia finché il secondo figlio scombussola i piani, spezza gli equilibri e rovina l’armonia, provocando una grave crisi.
Banali sono anche le scene che il film mostra: le tensioni, i rinfacciamenti, le tentazioni e i tradimenti. Tutto già visto.
È già visto anche il finale (che non svelo).
Perciò a un certo punto è lecito chiedersi: ma il film è tutto qui? È solo una lunga sequela di luoghi comuni.
Sì e no.
Certo, sono luoghi comuni. Ma solo perché è la rappresentazione della vita autentica, la vita vera che va proprio così. Sì: è questo che succede alle coppie sposate.
E, soprattutto, questi luoghi comuni sono raccontati in modo strano e spesso sorprendente. Proprio quando sto per sbottare per l’insulsaggine del racconto, ecco che salta fuori la scena inaspettata o il grano di pepe che sa di grottesco. Che c’entra la principessa Leila (o Leia) di Guerre stellari in tutto ciò?
Perciò ho incominciato a pensare che forse il film è tutt’altro che sciatto: anzi, è curato in modo maniacale.
Serve i contenuti senza imporli, ma lasciando che il loro sapore sorprenda chi li assaggia perché è un sapore che si apprezza dopo che il boccone è andato giù.
E sono bocconi con una crosta amarognola e un ripieno delicato senza essere troppo dolce.
Gratitudine
E così si spiega il senso di gratitudine di cui parlavo all’inizio dell’articolo…
Sono grato a questo film perché, pur senza essere un capolavoro né un manuale di filosofia antropologica, mi ha ricordato alcune cose importanti.
Mi ha ricordato che ognuno di noi non ha il controllo sulle cose che succedono, ma ha il potere di decidere come affrontarle e come viverle. Ha il potere di decidere se essere propositivo e costruire, oppure essere oppositivo e distruggere. E che la decisione che prendiamo ha influenza sugli altri che abbiamo intorno, e che questo è già cambiare il mondo.
Mi ha ricordato che l’amore non è un sentimento, ma un atteggiamento; e che se voglio essere amato l’unica strada che ho è essere amante, accettando anche il fatto che l’altro possa non rispondere.
Mi ha anche ricordato che l’amore
- non può essere comprato
- non può essere rubato
- non può essere guadagnato
- non può essere preteso
- non può neppure essere chiesto.
- Può solo essere donato.
Frasi fatte? Luoghi comuni?
Forse.
Ma vivere così è ciò che rende la mia relazione di coppia felice e degna di essere vissuta.
Perciò sono grato a Figli di avermelo ricordato.
E, dal mio punto di vista, si sarebbe dovuto intitolare Amanti, non Figli.
Col senno di poi
Solo dopo aver visto il film ho fatto ricerche in Rete per avere informazioni su Figli. Ho così scoperto che è tratto da un articolo di Mattia Torre per Il foglio. Valerio Mastandrea, che insieme a Paola Cortellesi è uno dei protagonisti del film, lo ha letto in più sedi a mo’ di monologo teatrale con il titolo di I figli invecchiano.
Questo monologo, nella versione di Stati Generali di Serena Gandini, lo puoi rivedere cliccando sull’immagine sottostante.
Dopo aver visto Mastandrea leggere il monologo, alcune scene del film sono più chiare. Ad esempio, ho capito perché le persone continuano a buttarsi dalla finestra. E perché il tutto sa di teatro…
E mi ha confermato che non si tratta di sciatteria, ma di cura maniacale.
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